| ecco di nuovo un post di metatron
Arn
Poco prima di finire la sua birra, Arn notò due donne scendere le scale che portavano al piano di sopra. Entrambe gli lanciarono un fugace sguardo e lui si limitò ad osservarle con la coda dell’occhio. La prima aveva un fisico atletico e snello, sicuramente abituato agli sforzi fisici, e camminava con sicurezza verso la porta della locanda; Arn notò un piccolo pugnale baluginare nel risvolto del vestito e questo, unitamente alla vista di piccole cicatrici bianche che brillavano sulla pelle abbronzata, diceva che probabilmente faceva un mestiere pericoloso, forse la cacciatrice. La seconda, invece, era piuttosto diversa; aveva anche lei un fisico simile, anche se meno prestante, ma il portamento, l’espressione degli occhi e soprattutto il grosso tomo di cuoio scuro che la ragazza portava sottobraccio indicava che fosse quasi sicuramente una studiosa, magari una maga. Chi si sarebbe potuto permettere, ma anche solo saper leggere un libro in questo villaggio se non un mago? Arn le seguì con lo sguardo finché non sparirono in fondo alla strada, poi ingollò ciò che restava della sua birra con un unico sorso e andò a prenotare la camera.
Un piccolo tugurio di legno marcio si aprì alla sua vista quando spalancò la porta. Arn stette ad osservare la stanza in tralice per qualche attimo; la paglia che riempiva il letto sembrava vecchia di almeno una settimana, uno scarafaggio lungo quanto il mignolo di un bambino zampettava allegramente per la stanza fermandosi ogni tanto a tastare il terreno con le antenne. L’unico mobile della stanza, una vecchia cassapanca consunta, giaceva sepolta dalla polvere sotto l’unica finestra. L’insieme era alquanto pietoso ma Arn non si sarebbe aspettato di meglio per cinque Sicli di rame. Si chiuse la porta alle spalle con un sospiro e depose la grossa coperta di lana grigia che teneva sulle spalle assieme allo zaino e all’arco sul letto e la srotolò. Un osservatore occasionale sarebbe rimasto senza parole davanti alla scena, ma Arn si limitò ad osservarla con un muto sorriso di soddisfazione. Davanti almeno una dozzina di armi e di altri oggetti brillavano davanti alla sua vista assicurati da lacci di cuoio. Arn sfiorò con le mani i coltelli, le ampolle colorate contenenti veleni di ogni sorta, punte di freccia costruite in modo che strazino le carni nel modo più orribile. Infine, sistemata al centro della coperta, giaceva la sua spada. La lama bianca brillò illuminandogli il volto di spruzzi di sole e l’elsa luccicò di oro e d’argento mentre lui gli passò lentamente le dita attorno. La estrasse con un unico movimento fluido dai lacci e la mulinò in aria per qualche secondo. La spada fendette l’aria con una tale forza e precisione che ad Arn sembrò quasi di vederla retrocedere intimorita. Quando si ritenne soddisfatto la ripose. Mentre la sistemava gli saltò agli occhi la sacra scritta incisa sulla parte piatta, quella frase era l’emblema dei Cavalieri Grigi e la frase che racchiudeva in se la loro missione, Arn la lesse come se l’avesse vista per la prima volta: “Dove non può la fede, può la spada “, ma qualcosa deturpava quella magnifica decorazione, un lungo taglio crudele spaccava la scritta. Arn ritornò immediatamente serio e cominciò a scegliere le armi che avrebbe utilizzato stanotte, prese diversi coltelli, un’ampolla violacea e una serie di pergamene riempite di caratteri sacri che davano una grande resistenza alla magia. Poi ripose il tutto. Quegli oggetti erano tutto ciò che gli rimanesse della sua vecchia vita, eccetto i vestiti. Glieli aveva donati il Maestro dei Veleni, uno dei pochi Fratelli rimastigli amici nel periodo più buoi. Si sedette vicino alla cassapanca e cominciò a pregare, non tanto per la sua vita, ma per quello che stava per fare, pregò con una tale intensità che quando disgiunse le mani gli si aprì la vista della luna d’argento. Era notte. Lentamente, si avviò verso la porta aggirando lo scarafaggio che sembrava guardarlo curioso, spinse fuori la testa e osservò il corridoio. Buoi e silenzio. Rientrò e spalancò la finestra, l’aria della notte lo investì. Si issò sul fragile cornicione di legno e percorse le sette finestre che lo dividevano dalla sua preda. Arrivato a destinazione, notò le imposte non erano state chiuse e che la finestra era coperta solo da un drappo scuro. “Tanto meglio” pensò. Cautamente, entrò e si mosse verso il letto; l’elfo dormiva, o sembrava dormire, non si sapeva mai con quei demoni. Avvertì un fruscio, dal profilo del letto spuntarono un paio di occhi animaleschi che lo osservarono con circospezione. Arn trattene il fiato, incerto sul da farsi.
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