| Anthera
Passarono ore interminabili, e sebbene non lo sentisse attivamente dentro di lei germogliava una fretta nera, una sensazione letale, un’ombra scura che si gonfiava a dismisura, e senza accorgersene accelerò il passo finchè non divenne una corsa frenetica, spossante. Attraversò ondate di alberi e recinti di rovi, fino a rovinarsi le gambe, anche se non le importava. Le ali ora, per la prima volta nella vita, erano furiose e animate da una forza nuova, spezzavano rami e arbusti al passaggio. Aveva perso il sentiero delle tracce, ma sapeva perfettamente dove dirigersi, guidata da quella sensazione opprimente e animalesca. Quando arrivò allo spiazzo insanguinato, la sua anima si congelò, tutta la volontà che l’aveva guidata fin lì scomparve nella nuvola di un respiro bloccato, il suo cuore si congelò, una parte dei suoi ricordi morì. Tremò, il mondo l’aveva tradita di nuovo.
La forza di un cuore non si misura dalla nascita, nessuno è destinato a essere ciò che è dal momento in cui è venuto al mondo. Quante anime può vedere sgretolarsi un cuore prima di cedere, di spezzarsi e soccombere? Ne basta una, una sola. Spesso il dolore più grande è quando si è costretti non ad abbandonare la propria anima, ma a vivere senza la presenza di qualcuno che si ha amato, o che stava molto a cuore, un salvatore. Questo, è ciò che si pensa finché si vive, finché si respira, ma se si dovesse smettere? Come sarebbe l’esistenza senza la Vita?
Fu così che trovò Arne. Ansimava, appoggiato ad un tronco, mentre tre Ombre ridacchianti lo circondavano, affilando i coltelli con i denti. Era completamente ricoperto da quella sostanza viscida e sanguigna che schizzava dalle Ombre quando venivano uccise. Per un attimo, solo uno, Anthera si fece prendere dalla disperazione, che raggiunse livelli al limite della pazzia. Un dolore che squarciava l’anima all’istante. Ma poi fu completamente accecata, estrasse Vendetta, la sua spada che non chiamava così da molto tempo, e iniziò a fendere tutto ciò che le capitava a tiro. Le Ombre si erano distratte dal corpo dell’assassino, ed erano tutte voltate verso di lei. Le fisso con rabbia lacerante, immobile, e molte di loro vacillarono. Ma prima che potessero fare dietrofront lei si era già gettata sul gruppo. Combatteva con una furia che non aveva mai conosciuto, tanto che dimenticò per cosa lo stava facendo. Le Ombre continuavano ad arrivare dalla foresta e sembravano non finire mai. La graffiarono e la ferirono, addirittura una freccia la colpì di striscio al volto, ma non si fermò. Era guidata da una collera irrefrenabile e sembrava non essere più in grado di avvertire la rabbia o il dolore. So sporcò corpo e anima del sangue di Ombre e pianse mentre le lacerava. In quel momento, comprese ciò che stava facendo, si fermò di colpo e crollò a terra in ginocchio. Per sua fortuna tutte le Ombre erano state uccise, e quelle non uccise si erano date alla fuga, altrimenti sarebbe rimasta immobile e si sarebbe lasciata attaccare. Capì il grande errore che aveva fatto, a causa della sua maledetta irresponsabilità. Si era ridotta in quel modo, una creatura meschina, guidata dalla rabbia, da un fine oscuro, senza guardare in faccia a nessuno, qualcosa di poco differente alle Ombre. In quello stato si trascinò col fiato sospeso al fianco di Arne, che, ora che era riuscita a trovarlo, le sembrava ancora più lontano. Lui aprì un occhio, e ad Anthera sembrò che quel momento durasse un’eternità. Le sorrise debolmente, ma lei non contraccambiò. Rimasero in silenzio, a guardarsi, finché la mezzodrago si mosse rompendo la fragilità del momento. “Arne, vieni, ti porto via da qui” Ma lui fece un gesto che Anthera non dimenticò, e che rimpianse tutta la vita, per aver perso l’unica persona che l’aveva aiutata a ritrovare la propria razza. L’assassino alzò una mano, come per dire “no, aspetta”, la chiuse a pugno e la mise sul petto. E Anthera capì che già ansimava, non avevano più tempo. Iniziò a piangere di nuovo, le lacrime le scendevano lente e le bruciavano il viso. Non poteva finire così, non poteva! “Arne, tu non puoi lasciarmi, tu devi restare! Non puoi andartene, non puoi…” “Anthera, sapevo già che tutto questo sarebbe successo” Lei lo guardò perplessa ma per niente rincuorata. Avanzò ancora verso di lui e iniziò a strapparsi la maglia per creare delle bende. Arne era stato ferito al fianco e al braccio, e perdeva tantissimo sangue. Lui la fermò di nuovo. Mise una mano in una tasca profonda, ed estrasse una sfera nera. Una pietra perfettamente liscia e sferica, grande quanto un pugno, opaca e scura. Sembrava che al suo interno ci fossero addensate tutte le nubi del cielo, era buia e a guardare al suo interno si perdeva la sensazione materialistica e si sprofondava in un abisso profondo custodito in quella pietra. Pareva contenere caratteri illeggibili e sfumati, ci si poteva perdere cercando di leggere quella sfera, perdere anima e corpo. “Sai cos’è questa?” Anthera lo guardò di nuovo, sofferente. Si raddrizzò e si asciugò un po’ di sangue che ancora le usciva dalla guancia. Fece di no con la testa. “É importante, sai?” E in quel momento il respiro di Arne si fece più lento e regolare, come se parecchie preoccupazioni della sua vita intera si fossero dissolte in quel momento. Fissò Anthera intensamente. “Vieni qui, avvicinati” E lei si fece ancora avanti, fino ad appoggiarsi al suo fianco. Poteva quasi sentire il suo respiro che le sfiorava la pelle. “Dovrò essere breve. Ti ricordi la Prigione di Falas? Non l’abbiamo lasciata molti giorni fa” Ormai ad Anthera sembravano passati anni. “Questa è sua” La mezzodrago continuava a non capire e si sentiva sempre più triste e a disagio. “Questa pietra non è altro che… Un… Un mezzo di collegamento, capisci? Bauglir usa questa per controllare tutte le Ombre, per tenerle sotto il suo dominio. Cosi tutto è più facile per lui.” In quel momento il timore verso quella pietra si trasformò in vera e propria paura, e Anthera avrebbe voluto strappare di mano quella sfera all’assassino, lasciarla lì e scappare con lui. “Anthera, quello che ti chiedo ora è l’ultimo grande favore che puoi farmi” E, profondamente spaventata dal modo in cui aveva pronunciato quell’ ”ultimo”, non poté evitare di ribattere. “Arne, cosa dici? Io ti salverò, ti porterò via da qui, devi solo riposare, e devo fasciarti quella ferita! Arne, alzati, dobbiamo…” Ma ora lui le appoggiò una mano sul braccio, e lo strinse con disperazione, supplicandola con lo sguardo, aprendole il cuore. Fu l’unica volta che Anthera vide i suoi occhi. “Devi ascoltarmi! Io ho portato questo peso troppo a lungo, ma tu puoi ancora aiutarmi. Devi farlo, Anthera, per il bene di tutti!” Lei deglutì, colpita, e lo ascoltò. “Devi sapere che… Bauglir sa utilizzare queste pietre per avere il pieno controllo di tutte le Ombre, o almeno di quelle la cui anima è stata estirpata completamente. Senza queste le Ombre potrebbero rivelarsi creature totalmente prive di autocontrollo, e si spargerebbero in modo caotico. Sarebbero pur sempre Ombre, ma non sotto il dominio diretto del Lumbar. Ed ecco… Bauglir ne ha create dieci. Una per ogni paese. E le ha nascoste chissà dove. Sapevo della Sfera di Falas, ma è stato per me… un colpo di fortuna trovarla. È questo che ti chiedo, Anthera, riporta questo peso alla compagnia, fallo per me, ormai è troppo tardi.” La mezzodrago stava per ribattere di nuovo, ma lui riprese. “Devi distruggerla, capisci? Ma non da sola. Vai a Nen, al centro del Lago Azuria, troverai un piccolo isolotto e le risposte che cerchi ti aspetteranno là. Dì che ti manda Arne di Golas. La parola d’ordine è Atalèi. Il buon Vikhem saprà come arrivarci.” E sorrise all’ultimo ricordo del drago. “Ma non ho finito ancora… Questa è la cosa più importante che devi sapere: la Sfera assorbe l’energia vitale di chi la porta, lo indebolisce gradualmente, per questo devi affrettarti, rischi di non avere più molto tempo. Se solo lo avessi saputo… prima…” “Arne, non pensare così! Noi… Noi troveremo qualcuno! Sì, troveremo aiuto. Ti porterò io, ce la posso fare, gli altri non saranno distanti più di qualche giorno, troveremo un villaggio. Arne, io ti salverò, te lo giuro…” “Non giurare cose che sai di non poter mantenere. Ho perso troppo sangue, non posso farcela.” Era vero, non ce l’avrebbe mai fatta, anche se lei non voleva darsi per vinta. In quell’istante il mondo le crollò addosso come un peso che la opprimeva. Non riusciva a pensare ad altro, il ricordo di quella perdita l’avrebbe accompagnata per sempre. Avrebbe dato tutto pur di risvegliarsi e scoprire che si trattava di un brutto sogno, e di ritrovarsi in un mondo in fiore, nuovo e puro, dove dimenticare tutto e persino Arne, perché era colpa sua per quella sua fine. Le lacrime le salirono di nuovo, ma lui le prese la mano con fermezza, e ci pose dentro la Sfera. In quel momento Anthera capiì davvero cosa significava portare un peso del genere. Tutte le sue forze erano come risucchiate verso il centro della pietra, costava un estremo sforzo di volontà ed energie solamente per tenerla appoggiata sul palmo. Di nuovo la prese la tentazione di scagliarla lontano, ma non lo fece. “Rifiuta chiunque, è la sua natura. Devi consegnarla alla ragazzina, Luithil. Lei non è soggetta al potere della pietra. Ed è un bene, che una della sua razza sia sopravvissuta. Ma devi assolutamente portarla a Nen. Tieni questa.” Si staccò dal mantello una spilla argentata. Portava il simbolo di un lungo serpente alato dagli occhi luminosi. Splendeva in modo unico, e sulla parte inferiore erano incise delle lettere in una lingua che non conosceva. “Quella è una spilla della Setta. È il nostro simbolo. Se dirai la parola d’ordine e non ti crederanno, mostra loro questa e digli che io me ne sono andato. È tua ora… Sei una di noi…” Lei si appuntò la spilla sulla maglia, sul cuore. In seguito, la nascose in un luogo segreto, e non la riprese mai più in mano, se non dopo parecchi anni. “Anthera, farai tutto questo per me?” Con gli occhi coperti di lacrime gli disse di sì. E Arne guardò il cielo pulito. “Sai, mi è sempre parso che questo mondo fosse solo un involucro chiuso e finito, dove si è confinati nei limiti del proprio corpo. Un mondo pesante e costrittivo, dove il dolore della carne è una inutile pena. Ma non è così, e ora lo capisco. Tu sei forte, Anthera, e la tua forza ti porterà lontano. Non devi mai arrenderti, mai!” In quell’istante si addormentò esausto, con il sorriso sulle labbra. Anthera prese la pietra e la mise in una tasca. Anche lei era tremendamente stanca, e non riusciva nemmeno a riconoscere il respiro dell’assassino. Si avvicinò silenziosamente e lo baciò sulla fronte, scostandogli il cappuccio. Sì, se n’era andato. Non aveva lasciato rimpianti, se non quello che covava nel cuore della mezzodrago. E lei capì che davvero il mondo era bello, ricco, lo stesso mondo che aveva sognato nella disperazione. Fissò lo stesso cielo di Arne e la stanchezza la prese, scivolò in lucidi meandri del riposo mentre la sua immaginazione correva lontano, sulle colline dalla vita, ad inseguire uno spettro di libertà, l’immagine di Arne e della sua missione, la fragile terra che si erano imposti di salvare. Ma il suo viaggio era solo all’inizio.
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