Incontri insperati

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Gigan
view post Posted on 5/11/2011, 22:20




Anthera

E così fece. Corse per parecchie miglia, senza fermarsi o guardare indietro. Non voleva pensare a nulla, ma nella sua mente insistevano le immagini dei suoi compagni, ancor più di quella di Arne. Oltretutto aveva mangiato poco e doveva riposare il corpo, ma anche questo non la convinse nemmeno a rallentare il passo.
Ad un certo punto, però, fu costretta a ralentare, e poi ad appoggiarsi esausta ad un tronco. Era debole, troppo per andare avanti. Aveva preso una scorta d'acqua al Fiume, ma non aveva pensato alla carne. Quindi, si vide costretta ad accendere un nuovo fuoco, cammuffarlo opportunamente, e andare alla ricerca di cibo. Trovò solo un leprotto, un magro pasto, ma le sarebbe bastato. Dopo aver mangiato spense tutto e cercò delle tracce con la luce di Thalir, dato che ormai il sole era sceso, ma i suoi sforzi non vennero ricompensati. Troppo stanca, si addormentò pensando a cosa avrebbe dovuto fare. Iniziava a disperarsi. Forse era stata una cattiva idea lasciare la compagnia.

La notte passò, e malgrado tutto dormì profondamente. Ma prima di svegliarsi fece un sogno, un sogno probabilmente lungo, ma di cui ricordava solo una parte. Una luce bianca le indicava una via tra gli alberi, e alla fine del sentiero luminoso ch'era una grande sfera nera, che inghiottiva la luce e sputava oscurità. A quel punto si svegliò e d'istinto proseguì la marcia verso Nord. Qualcosa la spingeva, ed era sicura che Arne fosse in grave pericolo.
 
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Gigan
view post Posted on 15/11/2011, 22:15




Anthera

Con grande angoscia scoprì delle tracce. Appena le vide il suo cuore si strinse, si sentì come crollare un grande peso sulle spalle, una terribile sensazione di vuoto che la trascinava a tradimento. Ora tutta la responsabilità, tutta la gravità della situazione era in mano sua. Le tracce si dirigevano dritte a Nord, senza incrociare il sentiero che forse ora stavano percorrendo i suoi vecchi amici. Ma quando le ebbe esaminate con più attenzione, il suo cuore si fermò, e sembrò che l'immagine che aveva in testa di Arne si sfigurasse e corrodesse. Erano chiaramente orme di stivali, ma la sinistra era più allungata della prima e la destra più pesante. Cercò subito altri segni del passaggio, perchè a causa dell'umidità non si poteva capire se le tracce fossero fresche o meno e sperava di scoprire con qualche indizio da quanto tempo l'assassino fosse passato. Ma non trovò nulla. Quindi, ora, l'unica cosa che sapeva con certezza era che Arne si stava trascinando su una gamba, ma non sembrava ferito, perchè non vi erano tracce di sangue e Anthera era in grado di riconoscere se una persona era stata ferita o meno, guardando le orme. Era più come se qualcosa l'avesse fortemente indebolito. Prima di seguire il sentiero di terra, la mezzodrago provò a calcolare a grandi linee quale percorso avesse preso Arne. Probabilmente era sceso verso sud, poi aveva preso un sentiero tra gli alberi, e infine si sarebbe diretto di nuovo a Nord.
Seguì la pista con estrema concentrazione. Era strano che una persona che camminasse in quel modo fosse stata in grado di percorrere così tanta strada. E inoltre il giorno se ne stava andando di nuovo. Non aveva la minima voglia di mangiare, anzi, proseguì la marcia, seppur più lenta, anche la notte. Senza accorgersene arrivò il giorno, e dovette mangiare per forza. Intanto, dentro di lei, continuava a pensare allo strano sogno della notte prima.
Oltre a sentire una grande nostalgia di Arne, avvertiva la mancanza dei suoi amici. Li aveva lasciati con grande dolore, ma non poteva fare altrimenti, perché sapeva che non poteva stare con loro. Luithil, Arrka, Balinor, loro erano i veri eroi. Persone che combattono per la salvezza degli altri, per la salvezza di Tairis. E non gli importa se un giorno le persone diranno che il Mondo è stato salvato da dei semplici eroi, di cui nessuno ricorda il nome, solo un gruppo di persone fuori dal comune che ha avuto il coraggio di emergere. No, non gli sarebbe importato, a loro interessava solo vincere questa guerra ingiusta e vivere in pace, aiutare le genti, e una volta finito tutto stare insieme, e non si preoccupavano se il loro nome sarebbe stato perso nel tempo. Avevano fatto il loro compito, e distrutto il male.
Ma Anthera no, lei era stupida, non le importava nulla! Era proprio così, lei perdeva la propria vita a cercare sé stessa, a ricostruire la sua esistenza su fondamenta d’aria, come una casa eretta su una lastra di ghiaccio, che una volta giunta l’estate crolla, e bisogna ricominciare. Era davvero tornata indietro, l’Anthera debole di un tempo, quella che doveva sempre avere l’appoggio d’altri, ma che senza gli altri stava meglio. Si sentiva come se le vicende di Netra e tutto il resto non avessero avuto alcun senso, era rimasta la bambina di sempre, che girava di città in città, sotto le spglie di qualcosa che non era, a cercare qualcosa che non avrebbe trovato.
 
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Gigan
view post Posted on 1/1/2012, 22:42




Anthera

Passarono ore interminabili, e sebbene non lo sentisse attivamente dentro di lei germogliava una fretta nera, una sensazione letale, un’ombra scura che si gonfiava a dismisura, e senza accorgersene accelerò il passo finchè non divenne una corsa frenetica, spossante. Attraversò ondate di alberi e recinti di rovi, fino a rovinarsi le gambe, anche se non le importava. Le ali ora, per la prima volta nella vita, erano furiose e animate da una forza nuova, spezzavano rami e arbusti al passaggio. Aveva perso il sentiero delle tracce, ma sapeva perfettamente dove dirigersi, guidata da quella sensazione opprimente e animalesca. Quando arrivò allo spiazzo insanguinato, la sua anima si congelò, tutta la volontà che l’aveva guidata fin lì scomparve nella nuvola di un respiro bloccato, il suo cuore si congelò, una parte dei suoi ricordi morì. Tremò, il mondo l’aveva tradita di nuovo.

La forza di un cuore non si misura dalla nascita, nessuno è destinato a essere ciò che è dal momento in cui è venuto al mondo. Quante anime può vedere sgretolarsi un cuore prima di cedere, di spezzarsi e soccombere? Ne basta una, una sola. Spesso il dolore più grande è quando si è costretti non ad abbandonare la propria anima, ma a vivere senza la presenza di qualcuno che si ha amato, o che stava molto a cuore, un salvatore. Questo, è ciò che si pensa finché si vive, finché si respira, ma se si dovesse smettere? Come sarebbe l’esistenza senza la Vita?

Fu così che trovò Arne.
Ansimava, appoggiato ad un tronco, mentre tre Ombre ridacchianti lo circondavano, affilando i coltelli con i denti. Era completamente ricoperto da quella sostanza viscida e sanguigna che schizzava dalle Ombre quando venivano uccise. Per un attimo, solo uno, Anthera si fece prendere dalla disperazione, che raggiunse livelli al limite della pazzia. Un dolore che squarciava l’anima all’istante. Ma poi fu completamente accecata, estrasse Vendetta, la sua spada che non chiamava così da molto tempo, e iniziò a fendere tutto ciò che le capitava a tiro. Le Ombre si erano distratte dal corpo dell’assassino, ed erano tutte voltate verso di lei. Le fisso con rabbia lacerante, immobile, e molte di loro vacillarono. Ma prima che potessero fare dietrofront lei si era già gettata sul gruppo. Combatteva con una furia che non aveva mai conosciuto, tanto che dimenticò per cosa lo stava facendo. Le Ombre continuavano ad arrivare dalla foresta e sembravano non finire mai. La graffiarono e la ferirono, addirittura una freccia la colpì di striscio al volto, ma non si fermò. Era guidata da una collera irrefrenabile e sembrava non essere più in grado di avvertire la rabbia o il dolore. So sporcò corpo e anima del sangue di Ombre e pianse mentre le lacerava. In quel momento, comprese ciò che stava facendo, si fermò di colpo e crollò a terra in ginocchio. Per sua fortuna tutte le Ombre erano state uccise, e quelle non uccise si erano date alla fuga, altrimenti sarebbe rimasta immobile e si sarebbe lasciata attaccare. Capì il grande errore che aveva fatto, a causa della sua maledetta irresponsabilità. Si era ridotta in quel modo, una creatura meschina, guidata dalla rabbia, da un fine oscuro, senza guardare in faccia a nessuno, qualcosa di poco differente alle Ombre. In quello stato si trascinò col fiato sospeso al fianco di Arne, che, ora che era riuscita a trovarlo, le sembrava ancora più lontano. Lui aprì un occhio, e ad Anthera sembrò che quel momento durasse un’eternità. Le sorrise debolmente, ma lei non contraccambiò. Rimasero in silenzio, a guardarsi, finché la mezzodrago si mosse rompendo la fragilità del momento.
“Arne, vieni, ti porto via da qui”
Ma lui fece un gesto che Anthera non dimenticò, e che rimpianse tutta la vita, per aver perso l’unica persona che l’aveva aiutata a ritrovare la propria razza. L’assassino alzò una mano, come per dire “no, aspetta”, la chiuse a pugno e la mise sul petto. E Anthera capì che già ansimava, non avevano più tempo. Iniziò a piangere di nuovo, le lacrime le scendevano lente e le bruciavano il viso. Non poteva finire così, non poteva!
“Arne, tu non puoi lasciarmi, tu devi restare! Non puoi andartene, non puoi…”
“Anthera, sapevo già che tutto questo sarebbe successo”
Lei lo guardò perplessa ma per niente rincuorata. Avanzò ancora verso di lui e iniziò a strapparsi la maglia per creare delle bende. Arne era stato ferito al fianco e al braccio, e perdeva tantissimo sangue. Lui la fermò di nuovo. Mise una mano in una tasca profonda, ed estrasse una sfera nera. Una pietra perfettamente liscia e sferica, grande quanto un pugno, opaca e scura. Sembrava che al suo interno ci fossero addensate tutte le nubi del cielo, era buia e a guardare al suo interno si perdeva la sensazione materialistica e si sprofondava in un abisso profondo custodito in quella pietra. Pareva contenere caratteri illeggibili e sfumati, ci si poteva perdere cercando di leggere quella sfera, perdere anima e corpo.
“Sai cos’è questa?”
Anthera lo guardò di nuovo, sofferente. Si raddrizzò e si asciugò un po’ di sangue che ancora le usciva dalla guancia. Fece di no con la testa.
“É importante, sai?”
E in quel momento il respiro di Arne si fece più lento e regolare, come se parecchie preoccupazioni della sua vita intera si fossero dissolte in quel momento. Fissò Anthera intensamente.
“Vieni qui, avvicinati”
E lei si fece ancora avanti, fino ad appoggiarsi al suo fianco. Poteva quasi sentire il suo respiro che le sfiorava la pelle.
“Dovrò essere breve. Ti ricordi la Prigione di Falas? Non l’abbiamo lasciata molti giorni fa”
Ormai ad Anthera sembravano passati anni.
“Questa è sua
La mezzodrago continuava a non capire e si sentiva sempre più triste e a disagio.
“Questa pietra non è altro che… Un… Un mezzo di collegamento, capisci? Bauglir usa questa per controllare tutte le Ombre, per tenerle sotto il suo dominio. Cosi tutto è più facile per lui.”
In quel momento il timore verso quella pietra si trasformò in vera e propria paura, e Anthera avrebbe voluto strappare di mano quella sfera all’assassino, lasciarla lì e scappare con lui.
“Anthera, quello che ti chiedo ora è l’ultimo grande favore che puoi farmi”
E, profondamente spaventata dal modo in cui aveva pronunciato quell’ ”ultimo”, non poté evitare di ribattere.
“Arne, cosa dici? Io ti salverò, ti porterò via da qui, devi solo riposare, e devo fasciarti quella ferita! Arne, alzati, dobbiamo…”
Ma ora lui le appoggiò una mano sul braccio, e lo strinse con disperazione, supplicandola con lo sguardo, aprendole il cuore.
Fu l’unica volta che Anthera vide i suoi occhi.
“Devi ascoltarmi! Io ho portato questo peso troppo a lungo, ma tu puoi ancora aiutarmi. Devi farlo, Anthera, per il bene di tutti!”
Lei deglutì, colpita, e lo ascoltò.
“Devi sapere che… Bauglir sa utilizzare queste pietre per avere il pieno controllo di tutte le Ombre, o almeno di quelle la cui anima è stata estirpata completamente. Senza queste le Ombre potrebbero rivelarsi creature totalmente prive di autocontrollo, e si spargerebbero in modo caotico. Sarebbero pur sempre Ombre, ma non sotto il dominio diretto del Lumbar. Ed ecco… Bauglir ne ha create dieci. Una per ogni paese. E le ha nascoste chissà dove. Sapevo della Sfera di Falas, ma è stato per me… un colpo di fortuna trovarla. È questo che ti chiedo, Anthera, riporta questo peso alla compagnia, fallo per me, ormai è troppo tardi.”
La mezzodrago stava per ribattere di nuovo, ma lui riprese.
“Devi distruggerla, capisci? Ma non da sola. Vai a Nen, al centro del Lago Azuria, troverai un piccolo isolotto e le risposte che cerchi ti aspetteranno là. Dì che ti manda Arne di Golas. La parola d’ordine è Atalèi. Il buon Vikhem saprà come arrivarci.”
E sorrise all’ultimo ricordo del drago.
“Ma non ho finito ancora… Questa è la cosa più importante che devi sapere: la Sfera assorbe l’energia vitale di chi la porta, lo indebolisce gradualmente, per questo devi affrettarti, rischi di non avere più molto tempo. Se solo lo avessi saputo… prima…”
“Arne, non pensare così! Noi… Noi troveremo qualcuno! Sì, troveremo aiuto. Ti porterò io, ce la posso fare, gli altri non saranno distanti più di qualche giorno, troveremo un villaggio. Arne, io ti salverò, te lo giuro…”
“Non giurare cose che sai di non poter mantenere. Ho perso troppo sangue, non posso farcela.”
Era vero, non ce l’avrebbe mai fatta, anche se lei non voleva darsi per vinta. In quell’istante il mondo le crollò addosso come un peso che la opprimeva. Non riusciva a pensare ad altro, il ricordo di quella perdita l’avrebbe accompagnata per sempre. Avrebbe dato tutto pur di risvegliarsi e scoprire che si trattava di un brutto sogno, e di ritrovarsi in un mondo in fiore, nuovo e puro, dove dimenticare tutto e persino Arne, perché era colpa sua per quella sua fine. Le lacrime le salirono di nuovo, ma lui le prese la mano con fermezza, e ci pose dentro la Sfera. In quel momento Anthera capiì davvero cosa significava portare un peso del genere. Tutte le sue forze erano come risucchiate verso il centro della pietra, costava un estremo sforzo di volontà ed energie solamente per tenerla appoggiata sul palmo. Di nuovo la prese la tentazione di scagliarla lontano, ma non lo fece.
“Rifiuta chiunque, è la sua natura. Devi consegnarla alla ragazzina, Luithil. Lei non è soggetta al potere della pietra. Ed è un bene, che una della sua razza sia sopravvissuta. Ma devi assolutamente portarla a Nen. Tieni questa.”
Si staccò dal mantello una spilla argentata. Portava il simbolo di un lungo serpente alato dagli occhi luminosi. Splendeva in modo unico, e sulla parte inferiore erano incise delle lettere in una lingua che non conosceva.
“Quella è una spilla della Setta. È il nostro simbolo. Se dirai la parola d’ordine e non ti crederanno, mostra loro questa e digli che io me ne sono andato. È tua ora… Sei una di noi…”
Lei si appuntò la spilla sulla maglia, sul cuore. In seguito, la nascose in un luogo segreto, e non la riprese mai più in mano, se non dopo parecchi anni.
“Anthera, farai tutto questo per me?”
Con gli occhi coperti di lacrime gli disse di sì. E Arne guardò il cielo pulito.
“Sai, mi è sempre parso che questo mondo fosse solo un involucro chiuso e finito, dove si è confinati nei limiti del proprio corpo. Un mondo pesante e costrittivo, dove il dolore della carne è una inutile pena. Ma non è così, e ora lo capisco. Tu sei forte, Anthera, e la tua forza ti porterà lontano. Non devi mai arrenderti, mai!”
In quell’istante si addormentò esausto, con il sorriso sulle labbra. Anthera prese la pietra e la mise in una tasca. Anche lei era tremendamente stanca, e non riusciva nemmeno a riconoscere il respiro dell’assassino. Si avvicinò silenziosamente e lo baciò sulla fronte, scostandogli il cappuccio. Sì, se n’era andato. Non aveva lasciato rimpianti, se non quello che covava nel cuore della mezzodrago. E lei capì che davvero il mondo era bello, ricco, lo stesso mondo che aveva sognato nella disperazione. Fissò lo stesso cielo di Arne e la stanchezza la prese, scivolò in lucidi meandri del riposo mentre la sua immaginazione correva lontano, sulle colline dalla vita, ad inseguire uno spettro di libertà, l’immagine di Arne e della sua missione, la fragile terra che si erano imposti di salvare.
Ma il suo viaggio era solo all’inizio.
 
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Gigan
view post Posted on 26/1/2012, 20:16




Anthera

Si risvegliò frastornata, confusa, ma pronta. Nonostante questo, però, le fu impossibile alzarsi. Scoprì che era ferita, ad una gamba e sul collo, e anche se era stata medicata il dolore si faceva sentire.
“Buon giorno. Dovresti metterti subito in marcia”
Il suono di quella voce la fece paralizzare. La ricordava, certo, e destava in lei pensieri oscuri e tristi. Ma era diversa. Qualcosa doveva averla cambiata nel profondo, perché l’immagine di quella figura e di quella malignità si erano impresse nella mente di Anthera, che in quell’ora che fu, a Karin, più di ogni altro momento era stata in braccio alla morte. Il cuore le balzò in gola, alzò piano la testa. Davanti a lei, fermo, seduto su un tronco tagliato, c’era Sthammer, l’Ombra ribelle, l’Ombra scelta, che l’aveva quasi uccisa durante l’assalto alla capitale di Netra. Si rammentò del loro duello e della rassegnazione che l’aveva colpita, il dolore quando le aveva trapassato il ventre con il suo stesso pugnale, il terrore di aver perso tutto. Eppure era lì, che la guardava. E a giudicare dalle circostanze era stato lui a medicarla. Era incredula e spaventata, e notò subito qualcosa di diverso nel suo aspetto. Gli occhi erano più chiari, quasi gialli. Erano profondi e densi di tristezza, pieni di sofferenza verso il mondo. Qualcosa lo aveva distrutto e ricomposto, una forza che ora lo costringeva ad agire compiangendosi.
“Hai molta strada da fare.”
“Tu… Tu sei…”
“Non importa chi sono o chi sono stato. Sono venuto qui per aiutarti, per tentare un’impossibile redenzione. Se non gradisci la mia vista, sparirò per sempre.”
Ma senza esitare, Anthera lo stette a sentire. Perché era già estremamente stanca, e sentiva che quella era davvero un’anima sincera.
“Ti ho preparato delle provviste”
Anthera si girò, e vicino a lei c’era un piccolo sacchetto contenente radici e qualche pezzo di carne seccata. Le sarebbe davvero bastato?
“Perché sei qui? Hai cercato di uccidermi, e ora ne sei in grado. Perché non lo fai?”
L’Ombra sembrò quasi punta da quelle parole, nel profondo. Il suo tono di voce cambiò, acquistò una nota di disperazione, quasi a volersi scrollare di dosso dei ricordi con un urlo interiore.
“Non c’è tempo! Devi andare. Io devo fuggire da qui, ma le nostre strade non si dividono. Ci rincontreremo un giorno. Prima della fine.”
Con una rapidità impressionante Sthammer si alzò, la guardò fissa negli occhi e scomparve tra la boscaglia. Anthera alzò una mano come per chiamarlo ma dalla sua bocca non uscì che un suono smorzato. A fatica si rialzò, incespicando e graffiandosi i piedi, poi fu come se un muro di ricordi la assalisse, la travolgesse, e tra quei ricordi uno in particolare la investì come una barriera di ghiaccio.
Arne!
Avanzò zoppicando sino al punto in cui era svenuta e lì c’era ancora il corpo dell’assassino, conservato come se fosse morto da pochi secondi. Si inginocchiò di fianco alle sue braccia e recitò delle preghiere. Non erano rivolte a qualcuno in particolare, ma sentiva un bisogno di farlo. Pregò il mondo, perché, almeno nella morte, Arne potesse trovare un po’ di pace. Le parve che avesse un piccolo spiraglio lucido che si apriva poco sotto la palpebra sinistra, perciò allungò le dita e le fece scorrere sui suoi occhi, per chiuderli ermeticamente. Nonostante tutto, si sentiva stanca e appesantita, come se tuta la sua forza fosse convogliata a consumarsi in un unico sforzo di pensiero. Era l’effetto della Sfera.
Prese Thalir, che per qualche motivo non sentiva ancora l’influsso della pietra, e smosse la terra per creare una piccola fossa. Dentro ci pose il corpo di Arne, e quando ebbe finito prese una lapide di legno e invocò qualche semplice incantesimo improvvisato – perché non aveva ancora avuto occasione di esercitarsi seriamente con Thalir – per garantire che quel pezzo di corteccia divenisse solido e durevole come pietra. Mentre lo fece non pianse, anzi, era concentrata e serena, come se stesse facendo un lavoro essenziale, non piacevole, ma in cui metteva tutta l’anima, non la singola sofferenza. Le parole le vennero meno quando dovette scrivere le parole sulla lapide, una cosa che non voleva dimenticare. In quel momento imparò un nuovo incantesimo. Incise sul legno l’immagine della spilla che le aveva donato l’Assassino, poi si inginocchiò di nuovo e aprì la sua mente come un libro chiaro e pulito, lasciò che tutto ciò che aveva nascosto dentro di lei uscì, la frustrazione si legò alla consapevolezza, l’armonia del suo coraggio lottò con la disperazione, e piano piano le parole si incisero sulla lapide. Lei, però, non volle guardare il risultato, come se volesse lasciarlo immacolato dalla sua vista. Si voltò, dando le spalle alla tomba.
Addio, Arne. Riposa, e un giorno ci ritroveremo.
Voltò verso nord, decisa a raggiungere il punto in cui dovevano essersi sistemati Luithil e gli altri. Prese a camminare, sempre più forte, finché non divenne una vera e propria corsa verso un luogo che non conosceva. E rise, pianse, guardò la terra con gioia e dolore nello stesso momento. Perché il sacrificio di Arne era qualcosa che andava oltre la morte di una persona, aveva gettato i semi per qualcosa di nuovo. Perché il destino di Tairis ora dipendeva da lei, e dal suo cuore scaturiva una forza pura, nuova, che mai aveva sentito prima d’ora. Una nuova Anthera era sbocciata, una nuova creatura che si nutriva dei dolori passati e li tramutava n saggezza e volontà. Guidata dall’istinto, ritrovò il fiume, ma la fatica e il peso della Sfera già si facevano opprimenti. Una nuvola di oscurità le calò sul cuore, ma non si arrese. Riprese a marciare verso nord con determinazione, mentre un solo, semplice nome le rimbombava dal nulla nella testa.
“Juves”





- Qui giace Arne Rymaun, la più grande persona che io abbia mai conosciuto -

- Chi non si fermò quando il mondo gli crollava addosso,
trovò la strada tra i sentieri bui
in una terra di cenere sotto un cielo di fuoco
riuscì a guidarmi, come le foglie seguono il vento
se dovessi perdermi di nuovo
il mio spirito volerà da lui, e troverà conforto

Nèilna, Arne -

 
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3 replies since 5/11/2011, 22:20   71 views
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