Scontri, Verbali e non

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view post Posted on 22/9/2012, 14:39




Alastar

"Dovestri incominciare a viaggiare per conoscere il mondo, Alastar. Io ti ho inseganato a controllarti e a uccidere, ma è tempo che parti per scoprire cosa puoi fare. Il mondo che tu conosci non esiste, le famiglie soffrono, le ombre incombono. La tua vita è stata semplice è molto facile, sarebbe ora di complicarla" disse Valerian con sguardo serio. Valerian era il mio maestro e avevamo vissuto insieme per 5 anni, prima che io mi riavvicinassi alla mia famiglia. "La mia vita è già difficile per il dono che possiedo, perchè dovrei complicarmela? Io vivo felicemente, e da solo. Non voglio partire." Ribattei arrabbiato, ormai era da settimane che litigavamo per questo motivo. Valerian voleva che io usassi il mio dono per captare qualcosa che fosse utile per diminuire il dominio delle ombre, ma io non ero interessato, io volevo la pace.
"Se non vuoi ascoltare le mie parole è inutile discutere. Pensavo fossi più intelligente Alastar." disse Valerian con sguardo triste e mi voltò le spalle per dirigersi verso la porta di uscita della locanda. La locanda era dei miei genitori e io davo una mano nei momenti duri. "Ti avvertirò se sento qualcosa!" gli urlai dietro e sapevo che lui aveva accennato un sorriso sul suo volto rugoso.
Orami tutte le persone che amavo erano vecchie, non troppo, ma si vedeva dalla camminata e dalla respirazione affannosa per un non nulla. Soffrivo per questa consapevolezza, perchè ero coscente che prima o poi uno di loro sarebbe morto, e io sarei stato devastato.
"Vai figiolo, noi c'è la caviamo da soli" disse con voce gentile mia madre. Calliope era una donna bassa e tornita con i capelli tagliati a caschetto che mostravano qualche striarura grigia. Stava asciugando con il grembiule un piatto che gocciolava per terra. "Sei sicura, mamma?" chiesi. Lei mi indicò una giovane che era appena entrata. Allora lei era era la camieriera che i miei vavevano assunto per aiutare alla locanda. Era abbastanza carina, ma non di una bellezza tale da far girare la testa, era più una belezza tranquilla di quella che aprezzi in una moglie.
"Carino il figlio di Calliope, magari potrei farci un pensierino." Odiavo ascoltare i pensieri degli altri, soprattutto se mi scrutavano come fossi un pezzo di manzo.
"Allora io vado, mamma" dissi sorridendo a Calliope e dandogli un bacio sulla guancia rugosa.
Uscì dalla locanda a passo svelto, e mi coprì la testa con un cappuccio. Odiavo camminare per le strade, tutta quella gente, tutti quei pensieri che mi urlavano nella testa cose che non avrei voluto sapere. "Mio marito mia ha tradito con la contadina!" "La mamma non mi vuole comprare il giocattolo, uffa" "I prezzi sono troppo alti, come farò a sfamare i miei figli". Erano troppi e troppo insistenti. Ero diventato un asso a riconscere le strade in base alla composizione dei ciottoli sul terreno o a non urtare le cose studiando l'ombra che emettevano.
Per arrivare a casa mia bisognava attraversare tutta la città, infatti, avevo comprato una piccola cascina in campagna, appena fuori le mura per non sentire niente. Come era sottovalutato il silenzio, come non era apprezzato. Io sentivo voci anche ha chilometri di distanza dalle persone. Ormai ero abituato, ma non sentire niente sarebbe stato bello. La stada stava salendo lentamente, e il sole stava calando con altrettanta lentezza. La notte era il momento migliore per riflettere, visto che tutti dormivano, non pensavano. Era la mia pace.
Stavo camminando a passo spedito sulla strada nord quando urtai una persona. Alzai il cappuccio per chiedere scusa.
Ero troppo preso dai miei pensieri per accorgemene, che ironia.
 
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